venerdì 18 giugno 2010

Nucleare sì o no?

Il nucleare in Italia.
Favorevoli, contrari, progresso, rischio, fonti rinnovabili, indipendenza energetica e così via.
In una nazione abituata al chiacchiericcio, al gossip e a sventolare le proprie idee senza averle preventivamente criticate, il nucleare è terreno di scontro per molti. Per chi ci crede, per chi non ci crede e per chi vuol sempicemente farsi sentire per acquisire popolarità.
Sorvoliamo sul discorso sicurezza e costi, per ora, e vediamo qual è l'effetivo problema energetico italiano.
I conti sono semplici, oseremmo dire quasi banali. Cerchiamo di capire i numeri e poi arriviamo alle conclusioni.
Consideriamo prima una foto della richiesta energetica del 2006, situazione più critica perchè l'idustria produceva di più, 4 anni fa; poi vedremo la situazione del 2008.
La richiesta media di energia dell'Italia nel 2006 è pari a 346000 GWh annue. Siamo poco sotto la media europea.

La distribuzione dei consumi non è, ovviamente, equamente ripartita a causa di differenze climatiche e produttive delle varie zone del paese. Anche la produzione non è ben distribuita.

La produzione, se ottimizzata con gli esuberi della Puglia potrebbe coprire un ulteriore 4% della richiesta.
Insomma, il deficit, in caso di ottimizzazione, resterebbe di circa 30-36000 Gwh annui (2006).

E' però interessante notare da quali fonti otteniamo energia.

L'importazione di energia è pari al 13% della domanda. Attenzione: l'importazione di energia elettrica non significa, come vedremo che le nostre importazioni energetiche sono solo del 13%! Significa che la forma di energia importata al 13% è elettrica. Ma della rimanente produzione (87% ) bisogna vedere da quali fonti è prodotta e se queste fonti sono presenti in Italia o sono acquistate.
Per più dei 2/3 della richiesta, Terna ci dice che la fonte è termica. Attenzione: termica non geotermica (la cui produzione è pari a circa il 7-8%). Che significa termica? Significa che si brucia qualcosa, ma cosa? L'elenco potrebbe essere il seguente:
- idrocarburi
- gas (metano, biogas, ecc.)
- altro (...)
Poichè l'Italia non ha giacimenti di idrocarburi e men che mai di gas naturale, ne deriva che gas e petrolio per l'utilizzo energetico sono acquistate all'estero, quindi vanno considerate come fonti importate (almeno al 70% ovvero per altri 200000 GWh).
Il deficit energetico italiano è dunque: circa 40000 GWh di energia elettrica + 200000 GWh di energia sotto forma di fonti energetiche da comprare.
Noi dipendiamo dall'estero per più del 75% del nostro fabbisogno! Cifre da profondo rosso per la bilancia dei pagamenti!!
Purtroppo questa è la realtà. Piaccia o no, questa è la realtà. L'indipendenza economica per ora, qualsiasi cosa si faccia, è lontana, almeno per i prossimi 40 anni. Però qualcosa bisogna cominciare a fare.
La ricerca di altre fonti energetiche è necessaria, come pure la ricerca di metodologie che garantiscano un effettivo risparmio energetico.
Le fonti possono essere varie, ma non tutte hanno gli stessi rendimenti.
Cominciamo con la più pubblicizzata dal governo. Il nucleare. Diamo per buono il 25% previsto dal governo. Siamo ancora lontani dall'indipendenza energetica, con investimenti molto costosi.
Per le fonti rinnovabili, la più pubblicizzata è, chissà perché, il fotoelettrico. Da dati dei produttori si evince che, per produrre 1 kWh di energia elettrica c'è bisogno di un pannello di circa 12 mq (e non consideriamo il resto dell'impianto). Se volessimo coprire il 25% del fabbisogno italiano di energia, come il nucleare, occorrerebbero 799000 kmq di territorio (l'Italia è estesa, isole comprese, circa 301000 kmq). Col solare, se va bene e se è ben fatto, si può pensare di coprire il 9-10% delle richieste. Nulla di più.
In questa situazione non è facile trovare il bandolo della matassa. Certamente è opportuno cercare uno sviluppo serio dell'energia solare che però non può essere legato, a causa delle solite lobby, al solo fotoelettrico. Il solare termico, costa di meno e rende di più. Il recupero energetico di una serpentina d'acqua riscaldata dal sole e collegata ad un serbatoio è di oltre il 70%, mentre quello fotoelettrico è meno del 20%. Inoltre il solare ha senso solo se è distribuito sul territorio, altrimenti non serve a nulla: le grandi centrali solari sono solo un buco nei conti, i piccoli impianti domestici, se diffusi, abbattono anche i costi della distribuzione.
Ancora non basta.
In questo contesto, con un solare più sviluppato, bisogna interrogarsi se è necessaria l'energia nucleare che potrebbe essere utilizzata per coprire il 10-12% del fabbisogno (e saremmo già alla metà dell'offerta prevista dal governo).
Su questa percentuale entrano in scena i cittadini.
Se non si vuol optare per il nucleare, allora la scelta è tirare fino all'osso sui risparmi e investire di tasca propria sul solare.
Ridurre i consumi di idrocarburi, anche per il trasporto (utilizzare le bici: un'idea, no?) potrebbe essere importante: si risparmia su fonti da poter utilizzare per le centrali.
Ridurre i consumi nelle case: un risparmio del solo 2% significa 1/5 di una centrale nucleare in meno, e così via.
Magari potrebbe essere sensato il discorso di costruire una sola centrale al posto di 5 e comunque sarebbe un netto miglioramento della bilancia dei pagamenti energetici. Si può fare senza il nucleare? Forse sì o forse no: però senza la comune presa di coscienza e la comune azione dei cittadini la scelta nucleare, anche associata alle fonti rinnovabili, diventa ineludibile, pena il disastro economico del paese.
Una cosa è certa: dall'emergenza energetica si esce con il contributo di tutti, altrimenti bisognerà accettare, senza storie, tutte le alternative per la produzione energetica, semplicemente perché non se ne potrà fare a meno.
Non è possibile comportarsi come bambini, rifiutare delle opzioni necessarie e poi voler sempre tutto senza sacrifici.
Sarà una sfida che gli italiani sapranno recepire? Da ciò che si vede in giro sono pessimista. Che dire? Speriamo che il vento cambi, cambi la mentalità secondo la quale "gli altri devono migliorare le cose e mi lascino in pace, perché, tanto, solo il mio contributo è piccolo".
Così non si va da nessuna parte, o meglio si va verso la rovina.

lunedì 7 giugno 2010

Vorremmo far capitare questo ai nostri figli?

(Immagini del fotografo indiano Raghu Rai, a Bhopal l'indomani dell'incidente)
La sicurezza degli impianti non è un optional o una voce di spesa: è un obbligo morale!
Anno 1982, nella nostra nazione abituata a non ricordare, quell'anno si vinceva il terzo mondiale. Ma in quell'anno, nel mondo accadeva di peggio.
In una fabbrica di pesticidi della Union Carbide, Bhopal, India, un'esplosione permise la fuoriuscita di sostanze tossiche.Da allora 20000 persone hanno perso la vita per gli effetti di quel che è il più grande disastro ambientale nella storia dell'umanità.
Di quel disastro non fu, come vorrebbe logica, incolpata l'azienda ma solo dei dipendenti addirittura a soli 2 anni di galera. Il CEO della UCC di quel periodo vive nel lusso a NY e gli americani non danno seguito a mandati di cattura del governo indiano (che commenti fare? 20000 indiani morti non valgono quando il CEO della UCC, a meno che non si ha paura di quel che W. Anderson possa dire in un processo).
Nonostante le carte processuali evidenziarono, non errori ma volute negligenze per la sicurezza, per risparmiare quattrini. Infatti un altro impianto UCC in USA molto simile fu adeguato a standard di sicurezza più elevati giusto qualche anno prima.
La Union Carbide si è sempre difesa dicendo che "qualcuno" aveva manomesso gli impianti con l'aggiunta di reagenti (acqua) nei serbatori ma questo fatto, anche se fosse vero, non limiterebbe la responsabilità della compagnia che tra i propri compiti di sicurezza (per i quali risponde in sede civile e penale) ha anche la sorveglianza degli impianti.
Nella storia sono molti gli impianti costruiti e gestiti con una colpevole superficialità che hanno prodotto disastri e vittime, a questi si associano anche i disastri dovuti a trasporti di idrocarburi e chimici. L'elenco è lungo, oltre la mattanza di Bhopal ci sono stati:
Chernobyl; Seveso; Exxon Valdez (Alaska); Love canal (rifiuti tossici della Hooker Chemical nello stato di NY); Piattafoma BP (recente) ... Chi vuole continuare ad acculturarsi trova ampi spunti su wikipedia.
A questo punto nasce una seria domanda: nessuno pensa di tornare al passato, ma la gestione della sicurezza (e della salubrità) degli impianti non può essere demandata alla buona volontà delle aziende, che hanno come obiettivo il profitto: occorrono controlli molto più stretti da parte della politica e dei cittadini. La politica non deve fare economia, la politica deve gestire la società e porre dei paletti per il bene di tutti, altrimenti si va verso il più totale disprezzo della vita asservita al denaro.